Biografia - Remo Gaibazzi

Biografia

Remo Gaibazzi

Remo Gaibazzi nasce il 29 dicembre 1915 a Stagno di Roccabianca (Parma), dove trascorre l’infanzia, prima di trasferirsi con la famiglia – famiglia di contadini – nel 1923 a Collecchio e, più tardi, a Eia di S. Pancrazio, alle porte della città; la famiglia Gaibazzi emigra poi definitivamente a Parma nel 1937. A quella data, il futuro pittore, che ha abbandonato gli studi nel 1935 dopo aver frequentato l’Istituto Magistrale senza conseguire il diploma, ha già cominciato la carriera di caricaturista: risalgono al 1935, infatti, i primi numeri unici in cui compaiono suoi disegni.

Continuerà in quest’attività, collaborando, oltre che a una trentina di giornali umoristici locali (alcuni dei quali diretti da un giovanotto anch’egli nativo di Roccabianca e che, allora, si firmava «Nino Guareschi»), anche alla Gazzetta di Parma, per circa venti anni, periodo durante il quale effettua una prima volta il servizio militare nel 1937-38, per essere poi richiamato nel 1941 ed inviato in Albania ed in Grecia, di dove è deportato in Germania.

Nel dopoguerra Gaibazzi affianca alle caricature di personaggi locali o internazionali la produzione di acri vignette vagamente surreali, ma verso la metà degli anni ’50 cambia decisamente rotta.

Con la prima personale, che ha luogo nel 1955, ha inizio la sua carriera di pittore: le opere esposte – disegni a china, in bianco e nero – non hanno più nulla di satirico o di umoristico; sotto l’effetto decisivo esercitato soprattutto da Ben Shahn, sono diventate amare immagini di un’umanità miserabile e dolente. Si tratta di una produzione che coglie subito significativi riconoscimenti, perché, pur collocandosi nel clima del neorealismo per i temi affrontati, dimostra una propria originalità non facilmente assimilabile ai modi e agli schieramenti allora in campo.

Nei primi anni ’60, abbandonati i temi di denuncia sociale, la ricerca di Gaibazzi appare sdoppiata: da una parte una serie di disegni ispirati a Bacon e dedicati alla figura umana, dall’altra la produzione di ossessivi paesaggi urbani, incentrati sull’immagine di grandi edifici storici, i cui volumi appaiono come mutilati dal taglio dell’inquadratura e immersi in un buio dilagante attraversato da rade lame di luce. Ma la svolta che segna la definitiva rottura con le tendenze neorealiste si registra con la personale del 1966: Gaibazzi, che si è avvicinato alla neoavanguardia (la mostra è presentata da Adriano Spatola e da Corrado Costa), s’ispira al Benjamin della Riproducibilità dell’opera d’arte per proporre non degli originali, ma riproduzioni su tela emulsionata, in quattro formati diversi delle stesse immagini. I lavori, sempre più scuri (anzi compiutamente e compattamente neri grazie alla riproduzione fotografica), cominciano ad essere influenzati, oltre che dall’espressionismo baconiano, dai modi della pop art.

Alla fine del 1967 Gaibazzi riprende le immagini di monumenti storici soprattutto di Parma, ma questa volta in una personalissima versione della pop, che si rifà, invece che agli oggetti della civiltà dei consumi, alle icone che popolano l’immaginario collettivo in un paese come l’Italia. È la prima volta che si misura con il colore (precedentemente usato molto raramente, per lo più in caricature acquarellate o colorate a pastello) e con quadri di grandi dimensioni: i volumi architettonici, ridotti alle loro strutture essenziali, grazie alle vivacissime campiture piatte degli acrilici, acquistano l’impatto di simboli e segnali capaci paradossalmente di far rivivere la tradizione.

Nel 1970 l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università di Parma, diretto da A. C. Quintavalle, ospita una sua grande mostra al Salone dei Contrafforti in Pilotta. La tendenza a ridurre l’immagine del monumento a una sigla, il cui contenuto rappresentativo è sempre meno rilevante, si attesta negli anni successivi: nella mostra del 1974 c’è una sola immagine (una torre) che viene ripetuta all’interno dello stesso quadro e in una serie di quadri, in un sondaggio sistematico delle possibilità combinatorie offerte da varianti cromatiche e compositive. Su questa strada Gaibazzi finisce per abbandonare definitivamente la rappresentazione, dedicandosi inizialmente, per breve tempo, a ricerche su strutture geometriche ispirate dalla lezione di Albers. Poi, in un’originale rielaborazione delle teorizzazioni del gruppo di Tel quel (Barthes, Derrida, Goux) e della sua espressione più propriamente artistica, vale a dire il movimento Supports/Surfaces, inaugura l’ultimo e più radicale periodo della sua ricerca, esponendo, nel 1976, opere costituite da fogli di carta trattati con grafite o incisi con la punta del compasso per mettere in evidenza la costituzione dei materiali e, appunto, la relazione supporto/superficie. Seguono indagini su materiali e tecniche diverse (kleenex, carte adesive, fili di cotone, carte veline) che però non lo soddisfano (e che infatti non sono esposte in alcuna mostra).

Finalmente, nel 1979, approda ad una nuova, straordinaria fase produttiva, dedicata alla scrittura e che ha sollecitato l’interesse (oltre che degli amici di sempre come Quintavalle e Calzolari) anche di giovani studiosi come M. Corgnati, M. Bertone e D. Trento: Gaibazzi scrive la stessa parola («lavoro») su supporti diversi (stoffe, carte, perspex, acetati) e con tecniche diverse (scrive con la destra e con la sinistra, con pennarelli colorati o grigi o bianchi o dorati). Questa stagione creativa culmina con le mostre del 1990 e del 1993 alla Galleria Mazzocchi: le scritte, che prima dilagavano sul supporto in diverse direzioni e in colori variegati, tendono ad assumere una forma costante, la spirale, e colori smorzati (grigi o neri). L’ultima esposizione è fatta da una serie di ascetici fogli di carta su cui la scrittura traccia la stessa spirale, sempre uguale, ma sempre diversa.

Remo Gaibazzi è morto a Parma il 25 luglio 1994. Nel 1996 la grande mostra postuma organizzata dal CSAC dell’Università di Parma ha cominciato a far conoscere anche fuori Parma il nome di questo grande artista, che ha scelto di lavorare in una piccola città di provincia, ma che ha saputo captare e rielaborare in maniera originale le più significative tensioni della pittura contemporanea.

Proseguendo in tale direzione, nel 2002, l’Associazione Remo Gaibazzi, grazie al sostegno del Comune di Parma, ha organizzato La città di Gaibazzi 1935-1974, una mostra che abbraccia i primi quarant’anni di lavoro del pittore: essa costituisce il primo capitolo di una ricognizione complessiva che continua con l’esposizione presente.

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